Rifiuti spiaggiati: la sfida per preservare il patrimonio costiero italiano
Rifiuti spiaggiati: la sfida per preservare il patrimonio costiero italiano
Sono circa 7.500 i km di coste del Bel Paese, con un tasso di erosione del circa il 50% (fonte: ISPRA), per uno scenario che vede l’Italia come prima realtà in Europa per maggior numero di chilometri di coste coinvolte, con un’elevata percentuale di rifiuti spiaggiati. Da qui la necessità di interventi urgenti per tutelare l’ecosistema costiero e il turismo balneare.
A delineare un quadro della situazione più puntuale è la nuova indagine Beach Litter di Legambiente con un’analisi sui rifiuti spiaggiati raccolti e catalogati dall’associazione ambientalista e l’utilizzo per la prima volta del Clean Coast Index (CCI), uno indicatore utile per determinare il “grado di pulizia” delle spiagge in modo immediato e oggettivo, basato sulla densità dei rifiuti presenti nelle aree campione monitorate e utilizzato a livello internazionale. Osservate speciali 33 spiagge afferenti a 12 regioni della Penisola per un totale di 179.000 m2 monitorati. Qui sono stati raccolti e catalogati 23.259 rifiuti con una media di 705 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia lineare.
Ma dove finiscono questi rifiuti? La risposta arriva dal Gruppo Esposito, la prima azienda in Europa a realizzare un impianto brevettato per il trattamento e recupero dei rifiuti spiaggiati.
Una svolta nel contesto della gestione dei rifiuti, perché l’impianto orobico, oltre al recupero dei rifiuti, permette di recuperare la sabbia prelevata dall’arenile e di restituirla, lavata e depurata, alla spiaggia d’origine, tutelando così l’intero ecosistema costiero e migliorando la qualità del litorale.

Mentre le frazioni organiche separate (costituite fondamentalmente da posidonia), opportunamente trattate, possono diventare un compost per l’agricoltura (anche perché sono private di sale) oppure possono essere utilizzate per la realizzazione di materiali per bioedilizia (ad esempio pannelli di isolamento termico/acustico).